Anche a distanza di cinque anni la signora delle pulizie può fare causa al suo datore di lavoro. C’è un motivo ben preciso.
Spesso succede che serva il supporto di una signora nel disbrigo delle faccende domestiche. Non sempre è possibile però assumerla. Capita così di ricorrere a una signora delle pulizie “pagata a ore”. In altre parole si assolda una persona che accetti di prestare servizio al di fuori di un regolare contratto di lavoro.
In casi come questi, è cosa nota, si fa ricorso al sistema del passaparola tra amici e vicini di casa. Di solito è una cara e vecchia amica a suggerire il nome della fidata signora che ormai da tempo si reca a casa sua alcune volte alla settimana. Con una retribuzione ovviamente in “nero”. Capita così che dopo un fisiologico periodo di prova si decida di avviare un rapporto di collaborazione fissa.
Naturalmente anche in questo caso non si stipula alcun regolare contratto di lavoro. Si sigla un accordo sulla base di una paga a ore. Ma cosa comporta questa scelta? Quali sono i rischi che si corrono sul piano civile?
Un’ordinanza emessa qualche anno fa dalla Cassazione (nel 2017 per la precisione) ha spiegato cosa si rischia a non mettere in regola la domestica pagata a ore. La cosa da sapere è che la donna di servizio che non viene regolarizzata può fare causa al suo “datore di lavoro” in qualunque momento e fino a 5 anni dopo il termine del rapporto di lavoro per farsi pagare retribuzioni, ferie e indennità non corrisposte.
Senza contare che quasi certamente, come è prassi in queste situazioni, i pagamenti sono sempre e comunque avvenuti in contanti per non lasciare traccia. Questa “invisibilità” dei pagamenti però può ritorcersi contro nel corso di una causa. Non essendoci traccia dei pagamenti da parte del datore di lavoro, questi potrebbe vedersi condannare a versare una seconda volta tutte le retribuzioni dovute alla signora della pulizia dall’inizio alla fine del rapporto lavorativo.
La domestica senza regolare contratto di lavoro potrebbe oltretutto avvalersi di una prova testimoniale: quella delle colleghe dello stesso palazzo in cui ha prestato servizio o dei familiari soliti accompagnarla e recuperarla sul luogo di lavoro. Le testimonianze possono benissimo supplire alla mancanza di un documento scritto per certificare l’esistenza di un rapporto di lavoro.
In sostanza, anche quando manca la “pistola fumante” di un documento scritto, la signora delle pulizie può far comunque valere i suoi diritti. Anche se il datore di lavoro si fosse sempre fatto firmare delle ricevute, una simile precauzione non basterebbe a evitargli la sanzione per il lavoro nero, incluso il pagamento dei contributi e delle eventuali ferie non corrisposte.
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