Uno dei casi di cronaca nera più complessi di tutti i tempi. Il caso Orlandi si riaccende con un nuovo identikik. Ma dove sta la verità?
Il mondo dovrebbe essere un posto bello e sicuro in cui qualsiasi persona dovrebbe essere al riparo dal male. In partciolar modo i bambini e gli adolescenti, anime ancora troppo piccole e fragili per comprendere la malvagità altrui. Alle famiglie va l’arduo compito di proteggerli, ma non sempre si è in grado di prevedere eventi drammatici.
Emanuela Orlandi è una ragazza come tante, di buona famiglia e solidi principi morali. Vive nel Vaticano, dove il padre è messo e la madre è un’infermiera. Emanuela ha appena 15 anni, quando scompare nel nulla il 22 giugno 1983. Esce dalla scuola di musica che frequenta e viene vista l’ultima volta alla fermata dell’autobus. Poi il buio totale. Emanuela non torna a casa, e non si hanno più sue notizie. Non si scompare così nel nulla, e senza un motivo. Che cosa è successo ad Emanuela?
In tutti questi anni le indagini non hanno portato ad un punto di svolta. Nessun magistrato, nessun poliziotto o investigatore è riuscito a capire dove sia la ragazza. Le piste prendono in considerazione anche il terrorismo internazionale e si intrecciano alla criminalità organizzata, sino a giungere al Vaticano ed al mondo ecclesiastico. Ad oggi, però, potrebbe esserci una nuova ipotesi, forse un po’ più banale ma ugualmente tragica, quella familiare. A far del male alla piccola Emanuela Orlandi potrebbe essere stato uno zio. Emerge, tuttavia, una novità riguardo all’identikit. Una storia complessa, drammatica e macabra, dal quale non si riesce a venir fuori.
Ricostruire le ultime ore in cui Emanuela è stata vista risulta di fondamentale importanza. Anche piccoli dettagli possono fare la differenza. La ragazzina fu vista, poco prima di sparire nel nulla, in compagnia di un uomo. Francesco Lo Voi, procuratore romano e Alessandro Diddi, promotore di giustizia vaticano avrebbero definito “impressionante” la somiglianza fra l’identikit e Mario Meneguzzi, lo zio della vittima.
Meneguzzi, marito della zia paterna di Emanuela, fu al centro delle indagini già nel 1983. L’uomo, infatti, cinque anni prima aveva mosso delle avances a Natalina Orlandi, sorella maggiore della vittima. Questo fatto spinese gli inquirenti a fare luce sui rapporti fra Meneguzzi e le nipoti. La giovane, interrogata riguardo all’accaduto, riferì di aver ricevuto delle “attenzioni” dallo zio, ma di aver rifiutato. Natalina e tutta la famiglia Orlandi avrebbero archiviato l’evento per il bene della moglie di Meneguzzi. Dunque una vicende triste, ma chiusa e non ricollegabile alla sparizione della sorella minore. Mario Meneguzzi, infatti, dopo diversi interrogatori, venne definito estraneo ai fatti.
Tuttavia nel corso degli ultimi giorni si torna a parlare di Meneguzzi e del suo coinvolgimento nel caso Orlandi. La famiglia di Emanuela, in particolar modo il fratello, non approvano questo accanimento nei confronti dell’uomo. “Vogliamo allontanare la verità dal Vaticano” ha dichiarato Pietro Orlandi a Quarto Grado. Nel corso della trasmissione di Rete Quattro, sono stati riattualizzati ed analizzati gli identikit della persona vista in compagnia con la ragazzina. Si tratta di disegni elaborati in base alle testimonianze di un vigile urbano e di un appuntato in servizio il 22 giugno 1983 nei pressi di piazza Madama, vicino la scuola di musica. Tuttavia dalla rielaborazione emerge il profilo di un uomo sui 40-45 anni, all’epoca dei fatti Meneguzzi di anni ne aveva 53. Inoltre quest’ultimo aveva un alibi: il giorno della scomparsa della nipote si trovava in vacanza con la famiglia.
La verità, cercata a lungo dai familiari, verrà mai a galla? Che fine ha fatto Emanuela? Perché non è tornata a casa, e chi può averle fatto del male? Interrogativi che attanagliano l’intero Paese da ben quattro decenni, e alla quale si spera di poter dare prima o poi una risposta vera, solida ed effettiva. Che emerga la verità, e che paghino i colpevoli chiunque essi siano.
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